Il viaggio

É così rapido quest’amore
Come un treno in corsa
Sfreccia e attraversa i mari
Le valli, i ponti,
A volte si ferma nella galleria buia,
Poi riparte, carico più di prima
La stazione d’arrivo é lontana,
I viaggiatori devono portare pazienza
E cappelli di paglia, libri, giornali
E tante speranze nelle borse da viaggio

Amelia De Simone – novembre 2015

L’anfora d’oro dal cuore d’argilla

In torteria oggi una calma grassa e goduriosa.

É arrivato un nuovo cliente, Valère, sudafricano, la pelle che sa di terra rossa mista a mieli pastosi e soli che tramontano senza fretta.

Il locale oggi é semivuoto, novembre sta donando ai torinesi giornate saporite di aria dolce, zuccherosa, e di luci che mettono energia e vita, le gambe vogliono camminare veloci, allontanarsi indenni dalle coltri autunnali, godere dell’aria aperta, dei colori lussureggianti del Valentino, dei passi che sentono il fluire luminoso e lento del Po.

Valère sceglie la torta più semplice, la torta allo yogurth, e questo mi racconta già molto di lui. E molto mi raccontano gli occhi profondi, con taglio orientale, scintillanti, le mani senza sofferenze, che lo descrivono studioso, forse uno scrittore, un antropologo o un medico.

Non glielo chiedo, un patto di riservatezza si stabilisce subito tra noi, ma resto curiosa. Viene da Parigi, ha sposato una francese, ha due bellissimi bambini, così dice, ma non ho motivo di dubitarne, e una vita divisa tra l’Europa e le radici africane.

Pronuncia appena Il nome del suo paese d’origine – indovino dietro il grande nodo delle radici strappate con dolore – gli occhi di luce diventano d’ombra – gli offro una tisana all’arancia, cannella e anice stellato. Gradisce, come tutti gli animi gentili.

Mi racconta di anni intensi, fuori dall’ordinario, intrisi di esperienze che gli europei definiscono animiste, gli europei con la loro perniciosa abitudine di separare anima e corpo, spirito e carne, e la necessità di coltivare quel lato razionale che ti rende un ottimo accademico, ottimo lavoratore, ottimo risolutore, una persona socialmente accettata e stimata, ma soffocata nei suoi afflati più primordiali.

Mi racconta del suo amore più grande – intuisco non sia sua moglie, lui non puntualizza, lascio che il silenzio preservi il suo pudore – e la definisce in una maniera che mi commuove: un’anfora d’oro dal cuore d’argilla,
alludendo al valore spirituale della fanciulla, un’anfora che accoglie morbida e capiente, fatta di materiale prezioso, ma dal cuore fragile, da preservare e proteggere.

Valère sembra un vecchio saggio, ma guardandolo dimostra a malapena 35 anni, però ha un animo antico, la sapienza degli avi, il sorriso pacato di chi sa dove lo conducono i suoi passi.

Mi lascia un libro, non un regalo per me, ma per la torteria, al libero accesso dei miei clienti. Amo questo genere di generosità, mi dà la misura di chi ho di fronte.

Racconti mitologici, il primo dio che incrocio é Ares. Mentalmente associo la lettura ad alcuni avventori della torteria.

Valère mi saluta, ma mi chiede di rifare la stessa torta dopo un mese. Sarà ancora di passaggio a Torino e tornerà per godere della torta allo yogurth più buona che abbia mai mangiato.

Sorride, ora sembra avere vent’anni o poco più, ha la giovinezza delle anime fresche, senza rughe, diventa bellissimo, un Ares africano.

Le tue mani sanno

Le tue mani oggi sono lontane,
Ieri hanno indagato il mio corpo,
Hanno trovato pietre scure e le hanno frantumate.

Le tue mani lontane sanno di calore e casa,
Portano guarigione e cura,
Sono mani che sanno,
Sono mani che amano.

Le tue mani lontane sanno toccarmi
Le corde un tempo mute,
Sanno prendere le mie,
Che dimenticano di difendersi,
Sanno ritrovarmi e prendermi nel palmo

Amelia De Simone – novembre 2015

Guardarmi

Guardarmi,
Di polvere, cemento,
Mattoni, paglia e sabbia,
Mi presti i tuoi occhi per guardarmi.

Tu fermo, le spalle giganti,
Armato d’amore,
Io intimidita da tante crepe nei muri,
Mi guardo, poi ti guardo.

Mi presti i tuoi occhi,
Le mani, mi conduci a te,
Mi riconduci a me stessa,
Mi restituisci al mio sapere.

Guardarmi, ricostruita,
Vorrei abbassare gli occhi,
E lasciarmi depredare,
Invece entri in casa
E l’arricchisci.

Guardarmi, é l’ora giusta,
Sei l’uomo giusto,
Mi guardo,
Assomiglio alle tue parole,
Odoro di pelle al sole

Amelia De Simone – ottobre 2015

Una felicità molesta

Una felicità che sa di terra nuda,
Di confessioni accolte,
Di braccia confuse nelle braccia,
Di bocche che si cercano morbose,
E corpi che ritrovano il porto antico,
Una felicità senza paure,
Di certezze e sobrietà,
Di infinite parole e fitte acute,
Una felicità che lascia increduli,
Una felicità molesta,
Intrepida, inattesa

Amelia De Simone – ottobre 2015

L’alchimista

Rovisto nei sentieri più impervi,

negli angoli nascosti agli occhi senza elettricità,

e tu pure rovisti, attraversi i cunicoli più angusti,

tocchi le ombre,

i muri alti, di pietra antica, senza sole,

Mi cerchi e ti affanni, provo a eclissarmi a te,

Cerchi di prendermi per mano,

Mi credi alchimista,

formule magiche e misteriosi elementi,

mescolo un po’ di sangue e un po’ di budella,

la vita di dentro, e te ne spalmo addosso

Amelia De Simone – ottobre 2015