L’aggiustaossa

Non tremi, non arretri,
La bambina con le ossa rotte
Ti guarda, ti sfida,
Prova a scappare,
Tu allarghi braccia infinite,
La bocca severa e gli occhi buoni
Le prendi la mano,
Lei striscia i piedi a terra,
Lascia solchi, piange,
S’arrabbia,
Ha le ossa rotte,
Vuol tenere le ossa rotte,
E tu vuoi aggiustarle,
Tu, con i tuoi riti, le tue sicurezze,
La follia dei sognatori,
La forza di chi vede oltre,
Di chi non s’arrende,
Sciamano di anime fratte

Amelia De Simone – ottobre 2015

Senza ricordi

Tutti parlano di felicità,
Poi si muore, si muore davvero,
E allora é tutto un arrangiarsi,
Per non morire, morire come loro,
Si ride per non scoppiare il cuore,
La terra é fredda, il marmo,
Le ceneri calde,
La felicità é lontano,
Chiusa nell’incoscienza
Della gente,
I pensieri si ubriacano,
Vorrei ritornare vergine
Dalla morte, incosciente anch’io,
E felice, senza ricordi, senza domande

Amelia De Simone – settembre 2015

Il tabernacolo

Io custodisco
E pure tu,
I silenzi, l’attesa,
I dolori, la brama,
Le febbri, le solitudini,
I codici, i baci,
Nel tabernacolo sacro,
Lo stiamo colmando,
É oltre ogni misura,
Ogni comprensione
Di occhi estranei,
Officiamo sacerdozio
Ed esercizio spirituale,
Io custodisco e pure tu

Amelia De Simone – settembre 2015

Il dolore

Tutti ad indicare la strada giusta, la soluzione, la vera via.

Tutti a risolverti l’angoscia, la tristezza profonda, come se non dovesse esistere.

Eppure c’è un tempo per essere cupi, nani in un corpo lungo, pipistrelli delle proprie grotte, e bisogna vivere questa tinta fosca, riconoscerla e abitarla.

Può essere il tempo di poche ore, pochi giorni, poche settimane, mesi, anni.

Il dolore sa quando andare via, non vuole insidiarti, solo insegnarti ad essere meno materialista, meno superficiale, sa quando distaccarsi pian piano e finalmente lasciarti libero di provare di nuovo il gusto della vita.

Io non lo voglio, non lo invoco, ma se c’è non giro la testa dall’altra parte, cerco solo di capire quando mi abbandonerà, non il perché sia venuto a cercarmi, quello é solo un modo di prolungarlo, di trattenerlo, e cerco di tenere a mente che là fuori c’è il sole, oltre la nebbia, oltre la notte

Amelia De Simone – settembre 2015

Il tempo

E questo tempo in cui sei via,
É un tempo senza contorni,
Odori e gorgoglii,
é fisso, non increspa nessun mare,
Rimane muto, senza ragione,
E quando poi torni,
Il tempo diventa pieno e ricco,
Saporito di te,
La bocca piena di sorriso,
Quasi stolta, per contenere
Tanta grazia nel petto

Amelia De Simone – settembre 2014

Marcello

(Racconto ambientato in torteria)

dc3be0a8a1_2091049_med[1]Marcello venne a salutarmi. Avevo aperto da poco la serranda, ma lavoravo da ore in cucina. Stavo preparando un dolce di crema e amarene. Il preferito di mio padre e dovevo prepararlo a tutti gli uomini a cui volevo bene e che in qualche modo mi attraversavano la strada: fratelli, amici, amori, vecchi zii, il signore finto burbero del quinto piano. E per Marcello.

Non lo vedevo da mesi e da mesi non preparavo la torta dei miei uomini, ma quel giorno sapevo che un uomo importante della mia vita sarebbe passato in torteria.

Arrivò, il maglioncino in filo blu un po’ sgualcito, la T-shirt grigia che occhieggiava dallo scollo a V, i capelli ricci e buffi, ribelli senza troppa convinzione, un po’ disordinati, come per caso più che per anarchia, il sorriso accennato, quella timidezza che lo rendeva vulnerabile e lontano dalle mire delle donne.

Sarebbe partito dopo un’ora, giusto il tempo d’un caffè e una fetta di torta. Ci sedemmo, tagliai una fetta generosa di quell’oro morbido avvolto in una pastafrolla così scioglievole, le amarene dolci, che ingolosivano lo sguardo e il palato, ne presi anche io, usai i piattini in porcellana inglese, quelli del servizio “buono”, Marcello valeva la pena.

Mi raccontò che sarebbe tornato al paese, dopo 15 anni che non tornava più alla casa paterna. Proveniva da un paese costruito in pietra, arroccato tra collina e mare, circondato da ulivi e piante di capperi, quel sud così profondo da apparire un mito letterario. Non vedeva sua madre da 15 anni, eppure quanto l’amava, quante gelosie aveva patito per lei da bambino. E suo padre, che aveva lasciato adulto ma ancora giovane, le ultime foto lo ritraevano con una lunga barba bianca, gli stava facendo lo scherzo di invecchiare.

Non sapeva perché mancasse da così tanto tempo da casa, non sapeva spiegarselo: aveva lasciato che il tempo gli scivolasse addosso pigro e molle, senza mai decidere di partire. Ma ora era arrivato quel momento. Il desiderio di accarezzare la madre in volto, chiamarla in quel modo buffo che permetteva solo a lui, aiutarla nella spesa al mercato, prendere il caffè con suo padre in veranda, la vecchia poltrona in midollino un po’ sfondata, se ancora c’era, e poi la sigaretta come rito da consumare tra uomini, con sua madre che fingeva di sgridarli, che affumicavano casa e polmoni, via via, andate fuori, e suo padre fingeva di offendersi, si alzava come per andarsene, poi tornava lesto a darle un bacio sul collo e rideva come un ragazzino.

Marcello raccontava, un po’ ricordava, un po’ immaginava, intanto mangiava la torta e mi guardava come ti guardano gli uomini che t’hanno conosciuto davvero e hanno fatto la sciocchezza di lasciarti andare, di piegarsi alla tua indole di gitana sempre inquieta, sempre in cerca di una nuova casa.
Forse era passato per dirmi qualcosa d’importante, ma non lo disse.

Però mi pareva che volesse portarmi con lui, ma io dovevo preparare tante torte, approfittavo della sua timidezza per fingere di non capire, tanto lui non avrebbe mai chiesto, mai indagato. Dopo che se ne fu andato, impastai altra frolla, gli occhi mi pungevano, forse ero troppo stanca, una lacrima volle scendere per forza su quel viso scanzonato

Amelia De Simone – settembre 2015

Io settembre lo amo

Io settembre lo amo, perché non sa di essere settembre, crede d’essere agosto, é un po’ fuori di testa, e poi incomincia a fare un po’ di giochi di colori, gioca a fare l’autunno, non sa d’esser settembre e ogni tanto fa ottobre, a volte persino novembre.

Io settembre lo amo perché ha i colori delle foglie calde, perché sa di terra, di vino, di castagne, e ancora la gente stende i costumi ai fili del bucato, e prende il sole, e s’abbraccia al mare, come niente fosse.

Io settembre lo amo perché é confuso, come me, é tante cose, é un inizio, é una fine, però ha un’anima tutta sua, ed é un soldato orgoglioso che combatte la guerra delle nebbie e dei confusi giorni

Amelia De Simone – settembre 2015

La notte

 

La notte porta silenzio e buio,
Si posa densa sulle spalle e
Ti rende di molle sonno,
La notte é fatta di piccole assenze,
Il sole é altrove, le mani forti
E il cuore dei leoni dispersi nella luce,
Ora solo silenzio e buio,
Quiete bruna,
Si scivola calmi nell’abbandono,
La vita si ferma, resta nelle pieghe
Degli occhi e delle lenzuola,
Un pensiero debole d’amore,
Poi diventa limbo,
Membra abbandonate e stanche,
La notte é una piccola fuga

 
Amelia De Simone – agosto 2015

Anna

sofia_loren_strip-600x450[1]Anna si stava rivestendo. Mentre si infilava i collant, cercava di non fargli vedere che aveva un buco in punta. Toglie ogni magia, un buco alle calze é un marchio di infamia, ti toglie sensualità ed eleganza, ti rende brutta e sconcia.

Lui nemmeno se ne era accorto, e anche se lo avesse visto, non ne avrebbe fatto un dramma. Lei era sempre così impeccabile, i suoi tailleurs così professionali, le collane ricercate, gli orecchini en pendant, la biancheria fine e ricamata, la pelle profumata, sempre fresca di parrucchiere, rispetto a lui, che era tanto bohemien, era di un altro mondo.

Poi era così bella, le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, un buco alle calze, un ritardo all’appuntamento, una promessa non mantenuta, persino un tradimento fugace. D’altronde Anna é una donna troppo carnale per poter appartenere a un uomo solo, lui lo sapeva benissimo, godeva dei suoi favori e dell’amore fervente e devoto di lei, sapendo che la fedeltà era un bisogno intimo di Anna, non suo. Lui la vedeva nella sua vera essenza, e l’amava esattamente così, non l’avrebbe cambiata d’una virgola, pur se gli toccava ingoiare fiele a ogni sua “distrazione”.

Anna finì di rivestirsi, sentiva la pelle dell’alluce sfregare contro la scarpa, ma avrebbe ingoiato cianuro piuttosto che confessare l’odioso incidente e col sorriso delle donne padrone del loro destino, lo salutò, gli diede un bacio fugace, quello che danno le amanti sazie dopo ore di amore intenso.

Quando gli diede le spalle, lui notò una smagliatura lungo tutta la gamba, sorrise e tacque, sapendo quale dramma ne avrebbe fatto lei, se lo avesse saputo. Quanto l’amava, tutta fianchi e testa, tutto seno e bontà, tutta etica e fissazioni stupide. Quanto sei bella Anna, mi togli il fiato

Amelia De Simone – agosto 2015