Le tue mani sanno

Le tue mani oggi sono lontane,
Ieri hanno indagato il mio corpo,
Hanno trovato pietre scure e le hanno frantumate.

Le tue mani lontane sanno di calore e casa,
Portano guarigione e cura,
Sono mani che sanno,
Sono mani che amano.

Le tue mani lontane sanno toccarmi
Le corde un tempo mute,
Sanno prendere le mie,
Che dimenticano di difendersi,
Sanno ritrovarmi e prendermi nel palmo

Amelia De Simone – novembre 2015

Guardarmi

Guardarmi,
Di polvere, cemento,
Mattoni, paglia e sabbia,
Mi presti i tuoi occhi per guardarmi.

Tu fermo, le spalle giganti,
Armato d’amore,
Io intimidita da tante crepe nei muri,
Mi guardo, poi ti guardo.

Mi presti i tuoi occhi,
Le mani, mi conduci a te,
Mi riconduci a me stessa,
Mi restituisci al mio sapere.

Guardarmi, ricostruita,
Vorrei abbassare gli occhi,
E lasciarmi depredare,
Invece entri in casa
E l’arricchisci.

Guardarmi, é l’ora giusta,
Sei l’uomo giusto,
Mi guardo,
Assomiglio alle tue parole,
Odoro di pelle al sole

Amelia De Simone – ottobre 2015

Una felicità molesta

Una felicità che sa di terra nuda,
Di confessioni accolte,
Di braccia confuse nelle braccia,
Di bocche che si cercano morbose,
E corpi che ritrovano il porto antico,
Una felicità senza paure,
Di certezze e sobrietà,
Di infinite parole e fitte acute,
Una felicità che lascia increduli,
Una felicità molesta,
Intrepida, inattesa

Amelia De Simone – ottobre 2015

L’alchimista

Rovisto nei sentieri più impervi,

negli angoli nascosti agli occhi senza elettricità,

e tu pure rovisti, attraversi i cunicoli più angusti,

tocchi le ombre,

i muri alti, di pietra antica, senza sole,

Mi cerchi e ti affanni, provo a eclissarmi a te,

Cerchi di prendermi per mano,

Mi credi alchimista,

formule magiche e misteriosi elementi,

mescolo un po’ di sangue e un po’ di budella,

la vita di dentro, e te ne spalmo addosso

Amelia De Simone – ottobre 2015

L’aggiustaossa

Non tremi, non arretri,
La bambina con le ossa rotte
Ti guarda, ti sfida,
Prova a scappare,
Tu allarghi braccia infinite,
La bocca severa e gli occhi buoni
Le prendi la mano,
Lei striscia i piedi a terra,
Lascia solchi, piange,
S’arrabbia,
Ha le ossa rotte,
Vuol tenere le ossa rotte,
E tu vuoi aggiustarle,
Tu, con i tuoi riti, le tue sicurezze,
La follia dei sognatori,
La forza di chi vede oltre,
Di chi non s’arrende,
Sciamano di anime fratte

Amelia De Simone – ottobre 2015

Il tabernacolo

Io custodisco
E pure tu,
I silenzi, l’attesa,
I dolori, la brama,
Le febbri, le solitudini,
I codici, i baci,
Nel tabernacolo sacro,
Lo stiamo colmando,
É oltre ogni misura,
Ogni comprensione
Di occhi estranei,
Officiamo sacerdozio
Ed esercizio spirituale,
Io custodisco e pure tu

Amelia De Simone – settembre 2015

Marcello

(Racconto ambientato in torteria)

dc3be0a8a1_2091049_med[1]Marcello venne a salutarmi. Avevo aperto da poco la serranda, ma lavoravo da ore in cucina. Stavo preparando un dolce di crema e amarene. Il preferito di mio padre e dovevo prepararlo a tutti gli uomini a cui volevo bene e che in qualche modo mi attraversavano la strada: fratelli, amici, amori, vecchi zii, il signore finto burbero del quinto piano. E per Marcello.

Non lo vedevo da mesi e da mesi non preparavo la torta dei miei uomini, ma quel giorno sapevo che un uomo importante della mia vita sarebbe passato in torteria.

Arrivò, il maglioncino in filo blu un po’ sgualcito, la T-shirt grigia che occhieggiava dallo scollo a V, i capelli ricci e buffi, ribelli senza troppa convinzione, un po’ disordinati, come per caso più che per anarchia, il sorriso accennato, quella timidezza che lo rendeva vulnerabile e lontano dalle mire delle donne.

Sarebbe partito dopo un’ora, giusto il tempo d’un caffè e una fetta di torta. Ci sedemmo, tagliai una fetta generosa di quell’oro morbido avvolto in una pastafrolla così scioglievole, le amarene dolci, che ingolosivano lo sguardo e il palato, ne presi anche io, usai i piattini in porcellana inglese, quelli del servizio “buono”, Marcello valeva la pena.

Mi raccontò che sarebbe tornato al paese, dopo 15 anni che non tornava più alla casa paterna. Proveniva da un paese costruito in pietra, arroccato tra collina e mare, circondato da ulivi e piante di capperi, quel sud così profondo da apparire un mito letterario. Non vedeva sua madre da 15 anni, eppure quanto l’amava, quante gelosie aveva patito per lei da bambino. E suo padre, che aveva lasciato adulto ma ancora giovane, le ultime foto lo ritraevano con una lunga barba bianca, gli stava facendo lo scherzo di invecchiare.

Non sapeva perché mancasse da così tanto tempo da casa, non sapeva spiegarselo: aveva lasciato che il tempo gli scivolasse addosso pigro e molle, senza mai decidere di partire. Ma ora era arrivato quel momento. Il desiderio di accarezzare la madre in volto, chiamarla in quel modo buffo che permetteva solo a lui, aiutarla nella spesa al mercato, prendere il caffè con suo padre in veranda, la vecchia poltrona in midollino un po’ sfondata, se ancora c’era, e poi la sigaretta come rito da consumare tra uomini, con sua madre che fingeva di sgridarli, che affumicavano casa e polmoni, via via, andate fuori, e suo padre fingeva di offendersi, si alzava come per andarsene, poi tornava lesto a darle un bacio sul collo e rideva come un ragazzino.

Marcello raccontava, un po’ ricordava, un po’ immaginava, intanto mangiava la torta e mi guardava come ti guardano gli uomini che t’hanno conosciuto davvero e hanno fatto la sciocchezza di lasciarti andare, di piegarsi alla tua indole di gitana sempre inquieta, sempre in cerca di una nuova casa.
Forse era passato per dirmi qualcosa d’importante, ma non lo disse.

Però mi pareva che volesse portarmi con lui, ma io dovevo preparare tante torte, approfittavo della sua timidezza per fingere di non capire, tanto lui non avrebbe mai chiesto, mai indagato. Dopo che se ne fu andato, impastai altra frolla, gli occhi mi pungevano, forse ero troppo stanca, una lacrima volle scendere per forza su quel viso scanzonato

Amelia De Simone – settembre 2015

Ciliegie sulle labbra

 

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Stamattina indosserò ciliegie sulle labbra,
Un vestito di stoffa leggera, che svolazza,
I capelli saranno cornice rossa,
E quegli occhi che son finestre luminose
Guarderanno curiosi altri mondi,
Le gambe libere avranno il vento sulla pelle,
Le braccia saranno allegre, nude,
Ho fame, ho voglia di mordere l’aria,
Di prendere per me tutti i raggi di sole,
E ubriacarmi anche, di vita, di spensieratezza,
Di voci piene di racconti e pelle cotta dal sole,
Stamattina indosserò ciliegie e i miei sogni migliori

Amelia De Simone – giugno 2015