Il libro delle risposte

wislawa-che-legge[1]Quand’ero vecchia, vecchissima, circa novant’anni, gestivo una libreria. Ogni mattina il giovanotto della drogheria di fianco mi aiutava ad alzare la serranda, io in cambio gli lasciavo sfogliare tutti libri che voleva, tranne uno, il libro delle risposte.

Quel libro era magico e andava maneggiato con cura e molta, molta cautela. Conteneva risposte profonde, indubitabili, molte volte dolorose. Ed io volevo fare tutto nella mia vita, che poteva essere ancora corta o lunga, a seconda dei capricci del buon Padre, tranne che spargere dolore. Era il mio libro segreto, quello che tiravo fuori una volta l’anno, massimo due, per i miei giovani amici dal cuore infranto. Per lo più donne, ma a volte anche giovanottoni dall’aria spavalda e dal cuore di burro, tutti con la testa in subbuglio, innamorati persi e con la paura di perdere la persona amata.

Ricordo nitidamente – per avere novant’anni sono una vecchia signora arzillissima! – quando arrivò Annina, che era tutta un peperino e si era innamorata di uno scrittore. Lei tutta fuoco e fiamme, lui pacato, riflessivo, avevano dei tempi di reazione diversissimi, per cui lei soffriva della sua lentezza, nelle dimostrazioni affettive e nello sbocciare dei sentimenti, per cui ogni tanto partiva in quarta e lo bistrattava. L’ultima volta lo aveva addirittura lasciato, a lei le mollezze non erano mai piaciute.

Però poi ripensava a lui in continuazione, al suo animo così generoso e altruista, alle sue pacifiche lotte per i diritti civili, ai toni garbati, ai suoi accenti emozionali così profondi, alle sfumature eleganti dei suoi scritti e gli mancava da morire. Ma Annina era orgogliosa, una che piuttosto che ritornare sui suoi passi, sarebbe morta di fame e sete. Però almeno voleva saperlo se era destino che continuassero o fosse finita davvero. Dentro di sé sapeva la verità, sapeva che no, non era finita, troppi fili in sospeso, troppi nodi da riallacciare, troppe esperienze da vivere insieme.

E mi chiese che le facessi consultare il libro delle risposte, glielo porsi subito, non mi piace che una persona amica senta il peso del favore, se si dona, bisogna farlo con leggerezza, senza mai farlo pesare. Le mani le tremavano, in quel libro c’era il suo destino di donna felice o infelice, forse di madre, e quella risposta avrebbe cambiato il corso della sua vita.

Le presi una sedia – pur pesando appena 42 chili, sono una donna d’acciaio – e lei si accasciò sopra. Iniziò a piangere, delle lacrime silenziose, il tappo delle emozioni si stava togliendo, copiose le lacrime bagnarono il tavolo su cui era appoggiato il libro. Le passai lievemente una mano in testa, aveva una testa piena di ricci rossi, una pelle chiara e lentigginosa e gli occhi più grandi e drammatici che abbia mai visto. Riuscì ad arcuare le labbra in un sorriso breve e di cortesia. Le feci portare una mano al cuore e l’altra sul libro.

Formula chiaramente la domanda e apri il libro, le ordinai con voce pacata. La sua domanda la conosciamo, la risposta fu che svenne. Il libro le aveva risposto che la sua vita sarebbe rimasta intrecciata al suo amato scrittore. La rianimai e poi andai a preparale una buona tazza di tè.

Amelia De Simone – novembre 2014.

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