Le persone di vetro

Essere di vetro vuol dire essere trasparente,  apparentemente fragile,  nell’accezione di sensibile. Molti disprezzano le persone di vetro,  vi scorgono persone deboli da prevaricare a piacere,  da plagiare, da circuire, da mobbizzare, da ghettizzare.

Ma le anime di vetro, proprio perché sensibili, hanno la forza inaspettata di credere in valori irrinunciabili, hanno un’identità che non si frammenta,  nonostante le paure, le lacrime,  le difficoltà reali,  un’identità che non si lacera.

E hanno una lente di ingrandimento che ingigantisce l’intuito emozionale, e restituisce umanità ai rapporti con gli altri.

Chiudere a chiave

Chiudere a chiave

 

Non m’ era mai venuto in mente chiudendo la porta di casa,  forse perché tutto quello che é tuo in maniera stabile non instilla pensieri annodati

 

Ma chiudendo la porta delle stanze dove trascorro le ore più lunghe del mio giorno, una porta che non ha scuri, non ha ruggine,  non ha legni, né massicci chiavistelli, é trasparente al mondo, non nasconde segreti oscuri, semplicemente protegge da mani che possano trafugare, la sensazione é di lasciare una parte di sé a proseguire la custodia silente,  senza mai rendere mura e pergamene fragili, violabili, é un saluto che ne perpetua la cura

 

Chiudere a chiave diventa un rito da consumare in solitudine, quasi fosse una  solenne cerimonia e non un banale impedimento ai ladri di penetrare, investe i gesti di significato denso, di protezione che ammanta luoghi e persone

 

La chiave ricoverata in borsa,  assicurata a un cordino verde, ha chiuso la porta e attende di riposare fino a domani

In certi momenti

In certi momenti sogni d’aver un valore alto  come persona,  ci sono poi degli episodi che infrangono questo tuo pensiero come lastre di vetro urtate da un oggetto pesante

Ti ridimensioni, ritorni ad essere fatta di terra e polvere,  non più di strati di cielo,  sei fatta di pensieri piccoli,  normali, modesti,   senza guizzi, sei uguale a milioni, miliardi di persone,  indistinta, foglia in una distesa infinita di foglie,  col cuore che appena batte, senza guizzi,  senza spasmi

La tua egolatria viene punita, il tuo narcisismo fustigato, diventi ombra, infinitamente incolore,  laconica, periferica al mondo, a te stessa

Capita di avere a che fare con   la parte di te che meno vuoi vedere e devi pure tenerla al fianco

Giovanni

I ricordi vengono a bussare alla tua porta senza un perché, senza avvisare, senza nemmeno squarciarti di dolore o “friccicare” la tua gioia, sono lì come statue in un museo, si lasciano guardare con indifferenza, loro sono, esistono, sono imperituri, nonostante tu ci sia o meno.

E veniamo al ricordo, mi pare così strano che mi sovvenga, ma ha bussato e allora apro l’uscio: ero giovane, eravamo tutti giovani, le mie sorelle, i miei fratelli, i nostri amici e trascorrevamo lunghe, torride, divertenti estati in Sicilia. Prendevamo in affitto un casolare di campagna ai piedi dell’Etna, circondato da agrumeti, fontane in pietra, terra scura, piena di dazi, fatica, sudori, gatti affamati che mangiavano persino il pane secco.

In un aranceto che costeggiava la nostra casa, c’era Giovanni, il contadino poeta. Lavorava duramente tutto il giorno e quando finiva ci passava accanto (una terrazza che s’ abbracciava all’agrumeto, senza cancelli o muretti) mentre consumavamo un pasto vociante e allegro, e si fermava per un bicchiere di vino rosso, in cambio ci regalava pizzini con le sue poesie. Sono ricordi di 30 anni fa, probabile che Giovanni sia morto, ma volevo dirgli, Giovanni volevo dirti che eri un personaggio poetico e la tua vita ha avuto un senso, i tuoi alberi sono ancora caldi di sole e delle tue mani rugose. La terra avrà più ricordi di te che di me ed é giusto così.

Amelia

A volte

A volte cerchiamo protezione.  Non dal mondo, dal nemico là fuori, dai pericoli in agguato,  no. Da noi stessi, dalle nostre grandi fragilità,  dalle nostre dinamiche reiterate fino allo sfinimento,  fino a non poter mai più credere di aver diritto di affrancarci dalla parte oscura di noi. Noi siamo quella macchia,  quel peccato e nessuno saprà aiutarci,  elevarci, accompagnarci in un cammino più luminoso.

Inutile presentarsi con la veste bianca,  inutile vendersi come immacolati,  o peggio ancora come Maddalene redente, che mai più cadranno, non offriamo in dono quelle fedeltà,  quelle lealtà,  quelle assenze di tentazioni che sono solo un nostro bisogno di vederci migliori,  ripuliti, un desiderio catartico così vero eppure così falso,  inutile, incompreso e miseramente disatteso.

Bisognerebbe avere il diritto di separarsi da se stessi, di dire no a quello spirito compagno che grava e gravita sul nostro capo e potersi vivere secondo i propri afflati etici.

Bisognerebbe separarsi come con quel semplice attrezzo che separa il tuorlo dall’albume.
Invece solo frittate.

Corpo disubbidiente

Non é che non volessi crescere, solo che la pelle mi invecchiava, e io avevo appena 16/17 anni, non capivo tutta questa fretta del corpo di andare verso la decomposizione, verso il baratro della vecchiaia, non poteva attendere, lasciarmi giocare ancora un po’, lasciarmi liscia e intatta a giocare con le mie fantasie, crogiolarmi in speranze sul mio futuro luminoso, che c’entravo io con quel corpo disubbidiente e apatico alla vita giovane?
Non ero io, avrei voluto uscire da quella pelle e quelle ossa, ma quella mi stava avvinghiata, manco fossi l’alito vitale.
Che pena, entrambe, nessun equilibrio tra noi, ci saremmo scannate a vicenda prima o poi.
Vecchia strega accopparagazze in fiore.

Momenti bui

I miei momenti bui mi servono per misurarmi e sentire tutta la caducità dei miei passi e dei miei stati d’animo, per sapere con sicurezza che nessun entusiasmo é perenne e inviolabile.
Io non li voglio, mi creano disagio, della tristezza che sembra non combaciare con la mia immagine briosa e positiva.
Eppure, come i figli malati che non ti aspetti ma che curi e proteggi quando arrivano, questi momenti servono a rendere speciali i momenti sereni, quieti, calmi, facendoli assomigliare alla felicità.
E servono a reggere le fatiche emotive che ti creano le lontananze, reali e psichiche, a resistere alle tensioni che nascono tra la realtà e le aspettative.
E allora accogliamo anche le tristezze, gli struggimenti, le malinconie, se serve a sentire più profonda la gioia di vivere.

Amelia

Piedi per terra

Piedi per terra. Piedi per terra. Piedi per terra.
Così ti incitano, stanno sempre col naso per aria cercando di recuperarti dai tuoi voli pindarici, riavvolgono il filo del tuo aquilone, hanno bisogno che tu non sogni, che non ti stacchi dalla realtà. E io sono più testarda di tutti, voglio sognare, non posso credere che la vita sia tutta qua. Speranza, sogno, incanto, fantasia, creatività. Questo dovreste insegnarmi. Io i piedi voglio tenerli in aria.

Parole

Sono attratta dalle parole. D’improvviso ne leggo o ascolto una che mi buca, e, come un ragno con la mosca, la intrappolo nelle ragnatele della mia mente. La vedo sbattere le alucce per liberarsi, ed io mi concentro sulle loro iridescenze, non la vedo più nella sua essenza e radice filologica, ma come un assolo, un essere fine a se stesso che ha deciso di infatuarmi con una semplice consecutio di sillabe. Una parola ti può innamorare, toglierti improvvisamente e con forza da umidi pensieri e librarti in volo, come una carezza di Dio sulla testa. Ricordo ancora quando ho scoperto “afflato”, l’incanto subito dal suono musicale, dall’accezione così delicata e dirompente al tempo stesso. Sono una persona piena di cose, di fardelli, dovrei decidermi a fare repulisti, tante cose di cui non so rinunciare a possedere, che però non mi servono realmente. Ma una sola cosa non potrei dare via, i libri, il magazzino dei sogni, il traghetto per il mare dei liberi pensieri. É una questione di afflati.

Riflessioni su gennaio

Pare che gennaio sia un mese pieno di guai. Ma guai seri, scade il canone tv, un sacco di tasse, ma soprattutto pare porti un umore nero. Leggo di tante persone che in questo periodo hanno il cuore buio, a volte solo ombre, altre é così forte il malessere da non riconoscersi più nelle dinamiche di sempre, di aver voglia di rigettare le situazioni e le persone che sempre , o maggiormente, ci hanno identificato e rafforzato come individui. Una voglia improvvisa nemmeno di altro, di nuovo, quanto piuttosto di rifuggire il vecchio, il solito.

Aver voglia di isolarsi, di stare soli, non tanto come forma di meditazione, ma come forma detox dall’immersione sociale continua a cui siamo sottoposti. Voglia di silenzio. Voglia di non dover rispondere. Voglia di non dover sorridere. Voglia di non dover dar conto a tuo marito/moglie, ai tuoi figli, ai tuoi colleghi, ai tuoi genitori, etc etc.. Voglia di essere lontana dagli altri, altro da altri, altro da quel sé conosciuto agli altri e a se stessi. Voglia di smaltire un po’ di malesseri, un po’ di malumori, un po’ di amori storti, di situazioni dolorose, di pensieri soffocanti. Voglia di essere un oggetto, un sasso in riva al mare, oppure una pianta, persino una piccola lucina da notte, senza poesia, senza afflati, una cosa materiale che non soffre, non pensa, non evolve, non invecchia, non muore.

Forse ha preso anche me questo gennaio buio. I miei passi ripercorrono le stesse strade, ma i miei piedi sognanti volano liberi altrove senza meta, solo una gran voglia di andare avanti, avanti, avanti, senza zavorre, senza pensieri, con la speranza di incontrare un po’ di felicità. Non ho messaggi per gli altri, solo bisogno di ricaricarmi, solo dire vi capisco, restate sul vostro cucuzzolo di montagna, io resto sul mio. Necessità di decompressione

Ritmi pazienti

Il primo giorno dell’anno é stato beneaugurale: le leccarde del mio forno non facevano che sfornare biscotti, tanti, una montagna, per tanti cuori da accarezzare, e strudel per addolcire lingue e magoni. Nell’aria odore di cannella , pinoli tostati, mele sposate a calvados, i capelli ribelli racchiusi nelle tele delle tortaie, e poi zucchero a velo a nascondere le crepe e nastri per dare un vestito elegante al più modesto dei biscotti. Però ho fatto anche un grave errore. Ho panificato con la pasta madre senza aver il tempo di covarla con calore e amore. Le ho dato fretta e lei non ne ha voluto saperne di allargare le maglie, s’è abbottonata stretta e mi ha dato un pane non lievitato. La mia prima lezione dell’anno: Amelia, non tutte le cose possono essere fatte a ritmi serrati. Ci sono riti da osservare, ritmi da rispettare, accudimenti da fare, pazienze da esercitare. Sii paziente, Amelia, e tutto avrà la forma che vorrai ☺ Ben arrivato 2015 

Voler bene é una torta

La mia planetaria, il mio forno, le mie fruste, il leccapentola ieri e oggi hanno ripreso aria e luce.
É stato un modo di prendermi cura degli altri, di dire un “ti voglio bene” quando i legami hanno una soglia alta di pudore, che non te lo lascia dire.
Seppur oggi mi sia sentita molto periferia del cuore di affetti importanti, cerco di distrarmi e concentrarmi sui miei progetti. Voler bene a volte é una torta. Ma una volta a te e un’altra volta a me.

Carezza di madre

L’attesa della carezza di tua madre sarà la tua condanna eterna, non arriverà mai, nessuno mai te la farà, nessuno mai capirà quel vuoto enorme. Più ti metterai sulle punte per alzarti di qualche centimetro, e più quella mano sarà lontana. Bisognerebbe non attendere mai più.